Il disturbo di panico è un disturbo d’ansia, caratterizzato da frequenti ed inaspettati attacchi di panico.
L’ansia e la paura sono emozioni normali, che provano tutti. Hanno la funzione di segnalare situazioni pericolose o spiacevoli, mediante le modificazioni fisiologiche prodotte dall’adrenalina che entra in circolo nel sangue. Entro certi livelli, dunque, l’ansia e la paura sono necessarie a ciascuno di noi in quanto ci consentono di affrontare le situazioni temute ricorrendo alle risorse mentali e fisiche più adeguate (es. se attraversiamo la strada e una macchina suona il clacson per avvertirci che potrebbe investirci, possiamo spaventarci e, in preda alla paura, metterci in salvo).
Si ha un attacco di panico quando l’ansia o il timore avvertito sono così forti da formare alcuni dei seguenti sintomi:
- palpitazioni o tachicardia;
- sensazione di asfissia o di soffocamento;
- dolore o fastidio al petto (es. senso di oppressione toracica);
- sensazioni di perdita di equilibrio e di svenimento (es. debolezza alle gambe, vertigini, visione annebbiata);
- dolori addominali o nausea;
- sensazioni di torpore o di parestesie (formicolio) negli arti superiori e/o inferiori;
- brividi di freddo o vampate di calore;
- tremori o scosse;
- bocca secca o nodo alla gola;
- sudorazione accentuata;
- sensazione di irrealtà (derealizzazione) o sensazione di essere staccati da se stessi (depersonalizzazione)
- confusione mentale;
- paura di perdere il controllo o di impazzire;
- paura di morire.
L’attacco di panico, dunque, è la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha le caratteristiche di una crisi che si consuma in pochissimo tempo (non più di 10 minuti), ma che per il soggetto risulta, in genere, un periodo interminabile!
Il disturbo di panico è una patologia piuttosto diffusa, ingravescente e fortemente invalidante. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne soffre tra l’1,5% e il 3,5% della popolazione mondiale, soprattutto donne.
Come avviene il disturbo di panico
Si ha un attacco di panico quando un individuo è molto spaventato da situazioni (es. stare in luoghi con porte e finestre chiuse) o da stimoli interni innocui (es. l’accelerazione del battito cardiaco) che percepisce come pericolosi. In quei momenti la persona non sa che cosa accade e con lo scopo di darsi una spiegazione può iniziare a dirsi che la causa sia dentro di sé e ad avere pensieri come: “Sto per svenire!”, “Avrò un infarto!”, “Perderò il controllo di me!”, “Diventerò matto!”, “Oddio, sto per morire!”. Queste interpretazioni spaventano ancora di più la persona: chi non si impaurirebbe all’idea di avere un infarto? Nell’arco di pochi minuti, l’ansia raggiunge vette altissime di intensità, per poi gradualmente decrescere, fino a quando il soggetto avverte uno stato di sfinimento fisico e mentale.
Le sensazioni provate durante il primo attacco di panico sono così spiacevoli da indurre nel soggetto il timore di riprovarle, per cui si sviluppa una “paura della paura” (ansia anticipatoria). La persona può cercare, quindi, di mettere in atto dei comportamenti volti a prevenire il verificarsi di altri attacchi di panico: tenderà ad evitare le situazioni che teme possano provocarli (comportamenti di evitamento) o le affronterà soltanto dopo aver preso delle precauzioni (comportamenti protettivi).
Tra i comportamenti di evitamento più diffusi si riscontrano:
- non utilizzare mezzi di trasporto, quali l’auto, bus o tram, metro, treno o aereo;
- non frequentare luoghi chiusi (es. teatro, cinema);
- non allontanarsi da zone o luoghi considerati sicuri (es. propria abitazione);
- non compiere sforzi di natura fisica.
I comportamenti protettivi più diffusi risultano essere:
- portasi sempre dietro farmaci per l’ansia;
- girare solo in zone in cui sono presenti strutture mediche;
- allontanarsi da casa solo se accompagnati da persone di fiducia;
- tenere sempre sotto controllo le uscite di sicurezza.
Elenco dei fattori di rischio più comuni:
- stress fisico (es. malattie, mancanza di sonno, lavoro eccessico, uso di sostanze stupefacenti) e psicologico (es. stress lavorativo, problemi finanziari, cambi di ruolo, conflitti relazionali, malattie di persone affini, lutti);
- iperventilazione, che consiste in una respirazione più rapida ed eccessiva rispetto all’esigenza del momento.
- predisposizione genetica e familiarità, per cui i consanguinei di primo grado si trasmetterebbero la tendenza a rispondere con l’ansia a determinati stimoli;
- caratteristiche di personalità, consistenti essenzialmente in una sensibilità agli stimoli ansiogeni, che si manifesta in particolare con lo stile di pensiero catastrofico.
Conseguenze del disturbo di panico
Il disturbo di panico può essere particolarmente invalidante in quanto ha ripercussioni sulla vita lavorativa (es. rinuncia ad un lavoro per le difficoltà di spostamento),familiare (es. tensioni interpersonali causate dalle frequenti richieste di essere accompagnati) e sociale (es. riduzione delle relazioni a causa della difficoltà a frequentare luoghi pubblici) della persona che ne soffre.
La riduzione dell’autonomia, conseguente all’attuazione dei comportamenti protettivi e di evitamento, danneggia, a breve termine, la qualità della vita di chi ha il disturbo e dei suoi congiunti, e, a lungo termine, il senso di efficacia personale e la stima di sé.
Il decremento dell’efficacia personale e dell’autostima, inoltre, a lungo andare possono produrre una depressione secondaria.
Altra frequente conseguenza del disturbo di panico è l’abuso di sostanze stupefacenti(in particolare l’alcool), a cui la persona può ricorrere come tentativo disperato di gestire il disturbo stesso o la depressione che ad esso può seguire.
Il trattamento cognitivo-comportamentale
La terapia cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico si basa sul presupposto che, durante un attacco di panico, la persona tende ad interpretare alcuni stimoli esterni (es. code nel traffico, luoghi chiusi, luoghi aperti) o interni (es. tachicardia, sensazione di svenimento, confusione mentale) come pericolosi, come il segnale di un’imminente catastrofe; tali interpretazioni, spaventando la persona, scatenano l’ansia, con i relativi sintomi mentali e fisici. Può capitare, ad esempio, di interpretare l’accelerazione del proprio battito cardiaco, dovuta ad uno sforzo fisico, come segnale di un pericolo e questo provoca ansia. Se i sintomi dell’ansia vengono poi, a loro volta, interpretati in modo catastrofico, ossia se si prospettano conseguenze disastrose, il livello d’ansia cresce ulteriormente, intrappolando il soggetto in un circolo vizioso che culmina in un attacco di panico. Nell’esempio precedente, i sintomi dell’ansia possono essere interpretati come il segnale di un imminente infarto, per cui si possono fare pensieri del tipo “Sto per avere un infarto!”, “Sto per morire!”; in questo modo l’ansia può crescere fino a sfociare in un attacco di panico.
Il trattamento cognitivo-comportamentale prevede un protocollo che contiene le seguenti procedure:
- ricostruzione della manifestazione iniziale e attuale del disturbo;
- formulazione di un contratto terapeutico, che contenga, in particolare, obiettivi condivisi da paziente e terapeuta e i loro rispettivi compiti (es. compiti a casa per il paziente);
- psicoeducazione, che consiste nel fornire al paziente informazioni sul disturbo, in particolare le sue modalità di insorgenza e mantenimento (mediante la ricostruzione del circolo vizioso del panico);
- insegnamento di tecniche per la gestione dei sintomi dell’ansia;
- individuazione delle interpretazioni erronee (es. pensieri catastrofici) che portano all’attacco di panico e messa in discussione di tali interpretazioni;
- esposizione graduale alle sensazioni e agli stimoli temuti ed evitati;
- prevenzione delle ricadute.